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La contaminazione positiva di linguaggi e saperi

Stefano OssFar dialogare scienza e umanesimo, conoscenza teorica e pratica per formare studenti e cittadini migliori
di Stefano Oss

Uno dei problemi centrali della scuola italiana rimane quello della strada che deve percorrere lo studente per giungere consapevolmente alla scelta di un corso di formazione universitario e di una professione. La strada è in salita e negli anni i cambi di rotta dovuti a irrequietezze e instabilità politiche non sono stati certo d’aiuto per delineare nuove vie e migliori strategie.

La società è esigente, così come lo è il mondo del lavoro: ritmi serrati, cambiamenti velocissimi, professioni nuove, che nascono e scompaiono molto (troppo) rapidamente. I “bei tempi” nei quali si poteva considerare “arrivato” l’esperto di una specifica disciplina, detentore di saperi e competenze specialistiche, sono “andati”. Oggi è necessario qualcosa di differente, di dinamico, di mutevole e adattabile. Aspetti questi che rischiano, se non si interviene, di condurre a carenze nella dotazione ordinaria del diplomato e, conseguentemente, del futuro laureato. La criticità della situazione emerge da considerazioni e osservazioni legate alla cosiddetta “mortalità” degli studenti che lasciano un determinato corso di studi universitario per passare ad altre offerte oppure per venire assorbiti dal mondo del lavoro senza ulteriori specializzazioni.

Non è un dramma se uno studente prende un abbaglio immaginando un futuro nei laboratori di fisica quando poi si ritrova più attratto dall’analisi finanziaria dei mercati europei. Ci si chiede però se esista un difetto progettuale dietro a simili situazioni. La scuola e i suoi operatori si prodigano con grande passione e convinzione in un’opera che non dovrebbe condurre a fallimenti o incertezze orientative. Se questo però accade dobbiamo farci delle domande. Siamo sicuri che scuola, università e mondo del lavoro comunichino e recepiscano le rispettive esigenze culturali, procedurali, valutative?

Siamo sicuri che i mondi della scienza, della finanza, dell’umanesimo, della letteratura, dell’arte, degli studi sociali, della tecnologia vengano proposti ed esposti ai ragazzi correttamente e in modo equilibrato? Davvero c’è ancora bisogno di una marcata specializzazione fra ambiti disciplinari a livello di formazione secondaria di secondo grado, come quella che si intravede fra i diversi tipi di licei? Perché a scuola spesso i matematici non si capiscono con i grecisti e questi con gli economisti e questi con i sociologi?

La formazione all’educazione e alla cultura moderna deve trascendere da simili distinzioni e suddivisioni di saperi. Lo deve fare se vuol proporre agli studenti una visione la più ampia e condivisa possibile dell’impegno collettivo dell’umanità, volto a trovare nuove vie di partecipazione, al miglioramento degli stili di vita, a valorizzare la ricerca, la solidarietà e a lavorare alla missione globale dedicata al “buon funzionamento” del nostro pianeta.

Portiamo più scienza e tecnologia nei licei classici e in quelli linguistici e artistici e più umanesimo e arte in quelli scientifici, apriamo alla conoscenza della pratica di qualche mestiere i templi austeri del sapere teorico e arricchiamo di profumo accademico i laboratori professionalizzanti.

Contaminazione positiva è la parola d’ordine. Linguaggi e saperi che si mescolano e si arricchiscono reciprocamente.
Tutto questo può essere portato a lieto fine solamente tramite una profonda collaborazione fra scuola e università. Molti progetti sono avviati da tempo e portano frutti: scegliere la nostra università vuol dire anche scegliere la via dell’intesa fra mondi educativi altrimenti disgiunti. C’è ancora molto da fare ma i protagonisti e le voci da ascoltare rimangono sempre le stesse: gli studenti, prima della scuola e poi dell’ateneo. Chi conta davvero sono loro.

Comunicare la scienza: un mestiere e un'arte
Circa 10 anni fa, nell’ambito dei percorsi di formazione e abilitazione all’insegnamento dell’Ateneo di Trento, nasceva un corso di Comunicazione della scienza.

Per imparare non “cose” di scienza ma “come” parlare di queste cose.

Il problema, più radicato nell’Italia cresciuta nel pensiero di Gentile e Croce che altrove, è sempre il solito: tutti si vergognerebbero di non saper leggere e scrivere, ma affermare “di matematica io non ho mai capito niente” è per molti, se non un vanto, quantomeno un vezzo sopportabile. Ancora oggi purtroppo ci sono molti uomini e donne che considerano la loro ignoranza “nel far di conto” e nel cercare di comprendere e ammirare la natura un analfabetismo sopportabile o addirittura una nota di classe.

I risultati si vedono: l’impero delle pseudo-scienze è radicato e forte, l’astrologia irride l’astronomia, i vaccini sono considerati pericolosi e - nonostante ripetute e sonore batoste scientifiche - stamina continua a mietere vittime dell’illusione e della delusione. A questi rischi sono esposti tutti coloro che continuano a ritenere il linguaggio e il metodo delle scienze sperimentali un codice per adepti se non un rituale para-religioso. Per fortuna non c’è nulla di religioso nella scienza: di questo è però importante rendere informati e partecipi tutti, in primis gli studenti che intendono fare del linguaggio scientifico un codice comunicativo essenziale e irrinunciabile. Per farsi capire, per discutere di fatti e non solo di opinioni.

Un corso di Comunicazione della scienza come quello proposto dal nostro Ateneo è un primo passo per una possibile via d’uscita a questo complesso problema.

Si tratta di un insegnamento interdisciplinare che si rivolge a studenti delle aree delle scienze sperimentali, fisica e biologia, della matematica, della filosofia.

Comunicare le scienze non è un automatismo. È ricerca di nuove vie, è una competenza utile in molti campi e che, se sufficientemente affinata, può diventare una professione.

Stefano Oss, docente presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Trento, è delegato del rettore per l’orientamento.